10-02-20 10.37
@ anonimo
Credo di essere uno dei maggiori sostenitori che ci siano qui sul forum riguardo all'importanza del pentagramma, della capacità di lettura, dell'evitare le scorciatoie notazionali.
Detto questo, vorrei chiarire una volta per tutte la mia visione del rapporto che c'è tra musica scritta e musica suonata.
A mio avviso la musica scritta sta alla musica suonata come una carta geografica sta al territorio.
Nonostante la massima attenzione notazionale, l'uso di segni diacritici, i mille artifizi che si possono architettare per chiarire le intenzioni del compositore, le note scritte sul pentagramma saranno sempre una pallida approssimazione di ciò che la musica suonata deve assolutamente essere.
Vorrei condividere qui di seguito con voi (con una bella lista numerata) alcuni spunti di riflessione:
1) Il livello di dettaglio che la musica suonata esige, sia in termini di suddivisione metrica, sia in termini di dinamica, sia in termini di architettura della frase, è troppo complesso per poter essere trascritto correttamente. Anzi, forse sarebbe anche possibile inventare un metodo che permetta la notazione esattissima di ogni dettaglio della musica, ma poi sarebbe estremamente difficile da leggere ed eseguire.
2) La musica ha in se stessa la forza di "imporre" all'esecutore la giusta (o meglio le giuste) esecuzione. Mi spingo più in la: la musica si impone persino al compositore, a me succede spesso che una frase, un'architettura musicale, appena accennate si dipanino quasi autonomamente, spinte dalla forza interiore della loro logica interna; a me non resta che "assecondare" tale parto.
3) Quando leggo uno spartito, in sostanza mi serve da "traccia", da mappa per addentrarmi in un territorio sconosciuto. Ma appena questo territorio lo conosco, diventa molto più che una serie di tratti su un foglio di carta. Un sentiero di montagna è ben più di una linea di inchiostro nero sul bianco di una mappa: è il colore del cielo, le pietre per terra, il profumo dei fiori, gli alberi che delineano l'orizzonte. E similmente è per la musica, dentro una frase c'è un mondo, c'è tanto di più che quattro note scritte sul pentagramma.
4) E allora come fare? Ci sono alcune strategie:
- Non appena imparate le note, disfarsi del pentagramma.
- Ascoltare tante esecuzioni, lasciar penetrare la musica dalle orecchie e non solo dagli occhi.
- Registrarsi ed ascoltarsi.
- Vivere "a bagno" nella musica, far sì che diventi per noi una componente fondamentale della nostra vita, un linguaggio naturale per la nostra mente, un modo di sentire spontaneo per il nostro cuore.
argomento molto interessante.
per me che vengo dalla musica classica il pentagramma è una sorta di "oracolo" le cui indicazioni hanno valore divino e devono essere seguite alla lettera.
ricordo le disquisizioni non solo in merito al pentagramma, ma alle varie versioni (cito, ad esempio, gli studi di Chopin, edizione Brugnoli o edizione Paderewsky per dirne due a caso). Non parliamo poi delle indicazione del pedale, del tempo metronomico, della diteggiatura.
E spesso, in ambito musica classica, qualsiasi deviazione da quello che è rigorosamente indicato, a meno di chiamarti Glenn Gould, risulta come un errore macriscopico.
Mi duole dirlo, ma l'impostazione che ancora oggi ritrovo nelle disquisizioni fra pianisti strettamente classici, è la medesima.
E mi duole dire che un motivo che anni fa mi spinse ad allontanarmi dalla musica classica in senso stretto fu proprio questo: si parla tanto di interpretazioni, ma poi si è tutti pronti a demolire l'esecutore se un brano viene eseguito più lento, più veloce, o suonando un F invece che un p....
in altri ambiti, invece, ciò che tu dici è molto più valido ed è anzi, il substrato della musica: la propria creatività anche nella semplice riarmonizzazione di una semplice canzone pop