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Ogni canovaccio, letterario o musicale, indicava agli interpreti la trama principale da seguire e da variare secondo il pubblico che uno aveva davanti. Basti pensare a un commediante pronto a intervenire con una battuta arguta, apparentemente inventata lì per lì, per mettere a tacere uno spettatore che disturba e muovere al riso l’uditorio.
La commedia era allora intesa per divertire, e lo stesso vale per la musica, che non va riproposta sempre uguale a sé stessa com’è sul manoscritto. Oggi, nel rispetto delle prassi esecutive, si vorrebbe che il concertista somigliasse a una macchina fotocopiatrice, che è l’interprete perfetto per antonomasia, e che riproduce esattamente l’originale distribuendolo in copia al pubblico. All’epoca non era certo così.
Non solo l’organo
La funzione di promemoria dei canovacci è caratteristica anche dei partimenti, che non sono limitati alla tastiera, come erroneamente si crede, ma riguardano anche la chitarra, il mandolino, il flauto, i gruppi cameristici, e anche i cantanti. Il compositore usa i canovacci per scrivere i suoi pezzi, e le realizzazioni improvvisate somigliano a quelle scritte. Le une e le altre sono in realtà preparate, e si basano fortemente sulla tradizione e su schemi consolidati.
I partimenti funzionano quindi per i generi strumentali, ma anche per quelli vocali, e ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti, compresi i partimenti di fuga.
La fase della realizzazione
L’importante per noi è distinguere tra canovacci, ossia partimenti, e realizzazioni. La realizzazione dei canovacci avviene durante i concerti quando il musicista improvvisa, oppure nella solitudine di una stanza quando il Maestro di cappella compone. Da un partimento si possono trarre infinite composizioni, mentre ogni pezzo realizzato è compiuto in se stesso, cristallizzato, immutabile.
I partimenti non vanno eseguiti esattamente come sono scritti, cioè alla lettera. Se si leggono così come appaiono se ne snaturerebbe il senso. Essi vanno semplicemente presi come traccia, perché nei partimenti c’è tutto il potenziale della musica, e da lì uno potrebbe trarre un universo di varianti.
I partimenti di fuga, al culmine degli studi, consentivano agli artisti di improvvisare estemporaneamente soggetto, controsoggetto e divertimenti, oltre al pedale che chiude il pezzo, cosa che non sa più fare chi esce oggi dalle Accademie o dalle Scuola di musica.
L’esperienza insegna
Attori e musicisti in gamba possedevano già fin dal Seicento un enorme bagaglio di canovacci, che ognuno custodiva gelosamente. Avevano appreso i segreti per trasmissione orale, da maestro ad allievo, e gli schemi partimentali tornavano utilissimi al momento d’esibirsi innanzi a nobili, a religiosi, o semplicemente in chiesa per accompagnare le funzioni.
Improvvisare all’organo
Agli organisti era richiesto per forza di cose d’improvvisare, ad esempio i versetti. E per farlo occorreva che essi seguissero degli schemi già impostati, che spiegassero come utilizzare le entrate dei temi, dove iniziare, con che finire, e cosa eventualmente aggiungere o togliere alla parte musicale. I canovacci costituivano il repertorio personale. Per sopravvivere alla concorrenza, occorreva acquisire capacità pratiche non indifferenti. Bisognava saper variare ogni cosa secondo la necessità, e soddisfare le richieste dei committenti. Sotto questa prospettiva, il partimento affonda le radici ancor più indietro dell’Arcadia, e si situa circa nel primo Rinascimento.
I primi partimenti
Tra Rinascimento e Barocco, per intenderci tra la fine del ‘400 e il 1680, operarono importanti musicisti e teorici. Con il contributo delle ricerche e della pratica musicale, questi Maestri s’avvicinarono sempre più allo spirito dei canovacci del XVIII secolo. Adriano Banchieri nell’Organo suonarino spiegò come si fa ad improvvisare.