13-05-21 08.57
violino999 ha scritto:
Anni fa, ho avuto modo di vedere un concerto di Enrico Rava e il suo gruppo. Tutti i musicisti erano italiani, e conosciuti nell 'ambiente, addirittura il trombonista Petrella ha vinto il premio, come miglior strumentista dell' anno, a livello mondiale. Nonostante le premesse, il concerto è stato molto difficile da seguire e digerire, anche se sono un appassionato e pessimo esecutore di standard jazz. Come bis eseguirono 'Besame mucho' e fu il pezzo più applaudito dal pubblico, perché conosciuto dalla gran parte degli spettatori . È difficile stabilire il confine tra libertà artistica e apertura verso il pubblico, ma se non ci si pone questo problema, sicuramente i partecipanti ai concerti jazz saranno sempre non molto numerosi, perlomeno in Italia
Kent83 ha scritto:
Un'altra volta andai a sentire un gruppo che rivisitava Jimi Hendrix in chiave jazz. C'era pubblico, a occhio più persone (tra cui io) che volevano sentire Hendrix in salsa jazz, quindi diciamo più rock.
Suonavano bene, ineccepibile, gli accenni alle sue canzoni pure, mood molto liscio e rilassato.
Sarà stato il fresco, il teatro, l'inverno, quello che vuoi, ma si sentiva un'atmosfera incredibilmente glaciale, freddissima. Lo sentivamo noi dal pubblico e i musicisti pure, tanto che ho la netta impressione che tagliarono la scaletta annunciando l'ultimo pezzo in largo anticipo; appena finito, in trenta secondi liberarono il palco alla svelta e il pubblico era letteralmente fuggito dalla sala. Una cosa terribile e avvilente.
secondo me questi due esempi, nel loro piccolo, dimostrano una cosa: il jazz attira, incuriosisce, ma è distante. Distante nel tempo e nello spazio dalle persone comuni. Va spiegato. A meno che non sei un mostro sacro (ma parlo di nomi veramente grossi),
collocato nel giusto posto (vedere
l'esperimento del Washington Post con Joshua Bell), per cui la gente ti viene a sentire "perchè sei tu", e sa cosa aspettarsi, devi interagire col pubblico, interloquire. Io ho un trio jazz in cui arrangio brani pop/rock (non solo: ho messo mano anche ad
Aria sulla 4a corda) e ogni brano lo spiego, ne racconto (brevemente, ovvio), la storia e il modo in cui è stato concepito l'arrangiamento. Spesso fa sorridere il fatto (vero) che a me gli Oasis fanno cagare, eppure ho arrangiato Wonderwall e godo nel suonarla così. L'uditorio, in questi casi, apprezza. Perchè riesce a capire cosa c'è dietro la tua idea, poi ovviamente sta a te esaudire l'aspettativa che si è creata suonando bene. Ma vale per tutti.
Se fai come Miles Davis che sale sul palco incazzato e non ringrazia nemmeno, non aspettarti di creare un'alchimia tra te e il pubblico, ormai.