Perché insistere tanto sulla teoria scala accordo?

  • WTF_Bach
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03-08-22 14.14

Il fatto è che:

- pochi (relativamente) sanno improvvisare

- tra quei pochi, solo una parte saprebbe razionalizzare le strategie che lo hanno portato a saper improvvisare

- tra quelli che lo sanno razionalizzare, solo pochi riescono a “distillare” le strategie più efficienti

- e tra questi pochissimi, solo una piccola parte è in grado di insegnarlo.
  • Sbaffone
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03-08-22 18.10

uso il metodo "a recia"

03-08-22 19.11

A mio avviso c'è stato un goffo tentativo di riportare su carta e volumi immensi teorie su teorie riguardo il jazz, generando migliaia di casi diversi da andare ad analizzare e memorizzare.
La verità è che poi basta una masterclass di qualche big americano seguita con attenzione, per capire che il 90% della roba che gira qui per "imparare il jazz" è carta straccia.

Da ammirare l'impegno di razionalizzazione, ma quando in un singolo capitolo vengono spiegati 10 modi diversi di suonare un accordo di settima senza specificare che questi terminoni sono pippe mentali che gran parte dei jazzisti del passato ignora (perchè gli basta un voicing fatto di 1° e 7° o 1° e 3° per far fluire idee) un problema c'è.

Sono proprio tra le vittime che han buttato più di un anno a scervellarsi con gli accordi suonati dalla mano sinistra con 11#, 13, 13b, 9, 9b, 9#, per poi venire cazziato malamente ad una masterclass perchè bastava semplicemente piazzare 1+3 o 1+7 a sinistra per far fluire la destra con meno patemi.

Le trascrizioni dei soli sono ormai migliaia, le trascrizioni di cosa faceva la mano sinistra dai big non viene riportata invece spesso. Quelle volte che ci sono effettivamente dimostrano meno pippe mentali di quelle che ti costringono ad imparare definendole "importantissime".

Mi fermo qui, perchè ci sarebbe da scriverne emo

03-08-22 19.18

@ WTF_Bach
Il fatto è che:

- pochi (relativamente) sanno improvvisare

- tra quei pochi, solo una parte saprebbe razionalizzare le strategie che lo hanno portato a saper improvvisare

- tra quelli che lo sanno razionalizzare, solo pochi riescono a “distillare” le strategie più efficienti

- e tra questi pochissimi, solo una piccola parte è in grado di insegnarlo.
Aggiungici che qui c'è poco senso della condivisione, anche quando sei pagato per farlo.
è un popolo proprio del "L'ho imparato e me lo so sudato da solo, perchè dovrei condividerlo con te?"

Un famosissimo giornalista italiano, di cui ovviamente non farò il nome, ma che ha bazzicato per anni festival e programmi televisivi, considerato un "luminare del jazz", ha ben pensato di presentarsi a noi studenti con una marea di filmati d'archivio introvabili. Oscar Peterson che suonava in italia, concerti ormai introvabili della rai. Ce li ha fatti vedere, vantandosi per ore di quanto quella roba fosse andata quasi persa, roba che lui ha acquisito e ne è il solo possessore.

Ora, cosa ti aspetti che facciano degli studenti con fame di conoscenza di fronte a cose simili?
"Potrei avere una copia di questo filmato?". Per puro studio, mi pare ovvio.

Secondo voi, il buon luminare che "ci tiene al jazz in Italia", ci ha lasciato qualcosa?
Certo che no emo
  • WTF_Bach
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03-08-22 21.32

@ Sbaffone
uso il metodo "a recia"
Che per te, ovviamente, ha funzionato benissimo.

Basseresti un approccio didattico di massa sul “metodo a recia”?emo
  • WTF_Bach
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03-08-22 21.35

@ CoccigeSupremo
A mio avviso c'è stato un goffo tentativo di riportare su carta e volumi immensi teorie su teorie riguardo il jazz, generando migliaia di casi diversi da andare ad analizzare e memorizzare.
La verità è che poi basta una masterclass di qualche big americano seguita con attenzione, per capire che il 90% della roba che gira qui per "imparare il jazz" è carta straccia.

Da ammirare l'impegno di razionalizzazione, ma quando in un singolo capitolo vengono spiegati 10 modi diversi di suonare un accordo di settima senza specificare che questi terminoni sono pippe mentali che gran parte dei jazzisti del passato ignora (perchè gli basta un voicing fatto di 1° e 7° o 1° e 3° per far fluire idee) un problema c'è.

Sono proprio tra le vittime che han buttato più di un anno a scervellarsi con gli accordi suonati dalla mano sinistra con 11#, 13, 13b, 9, 9b, 9#, per poi venire cazziato malamente ad una masterclass perchè bastava semplicemente piazzare 1+3 o 1+7 a sinistra per far fluire la destra con meno patemi.

Le trascrizioni dei soli sono ormai migliaia, le trascrizioni di cosa faceva la mano sinistra dai big non viene riportata invece spesso. Quelle volte che ci sono effettivamente dimostrano meno pippe mentali di quelle che ti costringono ad imparare definendole "importantissime".

Mi fermo qui, perchè ci sarebbe da scriverne emo
Infatti, se hai notato, sto attualmente lavorando su un metodo didattico che spieghi come mettere insieme dx e sx per ottenere lo swing.

E non servono armonie pazzesche o voicings esoterici: basta capire due o tre principi ed applicarli si voicings ed alle armonie che più ci piacciono.
  • paolo_b3
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03-08-22 21.46

@ WTF_Bach
Che per te, ovviamente, ha funzionato benissimo.

Basseresti un approccio didattico di massa sul “metodo a recia”?emo
Masterclass "a recia"? emoemoemo

Sarebbe molto utile!
  • d_phatt
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03-08-22 21.51

@ WTF_Bach
Il fatto è che:

- pochi (relativamente) sanno improvvisare

- tra quei pochi, solo una parte saprebbe razionalizzare le strategie che lo hanno portato a saper improvvisare

- tra quelli che lo sanno razionalizzare, solo pochi riescono a “distillare” le strategie più efficienti

- e tra questi pochissimi, solo una piccola parte è in grado di insegnarlo.
E in compenso il mondo è pieno di furboni emoemo

P.S. grazie a tutti per i tanti interventi interessanti, davvero.
  • Pianov
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28-08-23 16.00

@ d_phatt
Premetto che nel titolo volevo scrivere "teoria" tra virgolette, ma non c'erano abbastanza caratteri a disposizione.
Io non riesco a capire, almeno non del tutto, come mai si dà tanta importanza a questo metodo, lo si incontra in molti testi per non parlare delle risorse online... Anche il Levine, che per tante cose mi sembra un buon libro, dedica fiumi di inchiostro a questa cosa. Ma non sarebbe meglio usare quelle pagine per spiegare i concetti più importanti dell'armonia? Tanto "classica", jazz, pop, rock, cosa cambia? Finché siamo nel sistema tonale i concetti di base quelli sono, quello che può cambiare è lo stile (e le regole) con cui vengono usati...

Una volta che uno sa come funziona la tonalità, la costruzione degli accordi (anche fino alla 13esima), le cadenze, le progressioni di base, il concetto di regione armonica, ritmo armonico, eccetera...le note che può usare su un determinato accordo le individua conoscendo l'accordo e il contesto tonale in cui esso si trova.
Poi certo, saper disporre di quelle note (cordali, di passaggio, cromatismi, dove disporle all'interno di una battuta, ecc) al fine di creare musica è un altro paio di maniche, entrano in gioco tanti aspetti...Ma questo vale sempre, a prescindere, non è che se imparo a memoria 10000 tabelle con i modi e le scale da usare sugli accordi allora il mio fraseggio diventa automaticamente perfetto.

Per esempio nel Jazz Theory Book di Levine (che continuo a citare solo perché è uno dei più famosi sul jazz e tra quelli sul jazz è quello che conosco meglio), confesso che non l'ho mai letto tutto, specialmente per colpa dell'enorme sezione dedicata alla "teoria" scala accordo, ma in nessuna sezione di quelle da me lette si nomina il fondamentale concetto di regione armonica...ma forse me lo sono perso io. Comunque di quel libro ho trovato interessanti sopratutto le parti sui vari tipi di voicing, quella sulla riarmonizzazione con sostituzioni varie piena di esempi interessanti e di utili norme pratiche sulle cose da NON fare...però il libro in sé mi avrebbe molto confuso e portato fuori strada se non avessi avuto una base teorica e di armonia che mi sento di definire solida, o almeno decente, anche se ce ne sarebbero a bizzeffe di cose che dovrei ripassare, imparare o approfondire.

Mi rendo conto che alcune cose possono essere molto utili, per esempio il concetto di "avoid note" in determinate situazioni magari può aiutare un musicista inesperto a evitare una scelta sbagliata, insomma possono avere senso dei consigli pratici utili, però che senso ha privare il musicista della comprensione del funzionamento base della musica tonale che suonerà nel 99 se non nel 100% del suo tempo? Vero che capire le strutture alla base della sistema tonale richiede tempo, ma anche studiare ed esercitarsi su centinaia di scale e modi in tutte le tonalità richiede tempo, anzi probabilmente molto di più.

Cosa mi sfugge?
La risposta sta nel fatto che accordo e scala sono la stessa cosa, esprimono lo stesso materiale disposto orizzontalmente (scala) e verticalmente (accordo).
Supponiamo che tu abbia un Dm7, isolato, senza relazioni con altri accordi. Cosa ci posso suonare? Di sicuro D F A C...poi mancano 3 note. Cosa ci metto? il Eb? Il Gb? G naturale? Con la scala è tutto più semplice: se uso il D dorico so che, oltre alle 4 note dell'accordo D F A C, suonerò 3 tensioni "disponibili" e "utilizzabili" come la nona maggiore, l'undicesima giusta e la tredicesima maggiore. Se uso il modo frigio saprò invece che, oltre alle 4 "chord notes" impiegherò la nona minore (Eb) e la tredicesima minore (Bb) che verticalmente sono note da evitare ma melodicamente sono meravigliose. E così via.

Se tutto questo viene calato nella Tonalità acquista un senso maggiore.
Il sistema tonale mette in relazione una scala tonale (che possiamo chiamare "generatrice", o "source scale") con 7 accordi diatonici da essa generati, e quindi con 7 scale modali che esprimono ognuna un accordo completo (cioè espanso alla tredicesima). Allora il modo non esprime più solo una scala che si può suonare su un accordo ma esprime anche la funzione armonica di quell'accordo: se suono un modo dorico allora so già che mi trovo sul secondo grado della scala maggiore e mi si creano relazioni precise, tonali, all'interno della scala generatrice (C Major). E così via.

La teoria "chord scales" permette di ragionare sulle tensioni più velocemente e, soprattutto, di relazionare l'accordo con la sua funzione armonica.

Sono andato un po a braccio, spero di non aver scritto cavolate e, soprattutto, di non aver offeso nessuno con cose ovvie
  • alefunk

28-08-23 17.16

@ Pianov
La risposta sta nel fatto che accordo e scala sono la stessa cosa, esprimono lo stesso materiale disposto orizzontalmente (scala) e verticalmente (accordo).
Supponiamo che tu abbia un Dm7, isolato, senza relazioni con altri accordi. Cosa ci posso suonare? Di sicuro D F A C...poi mancano 3 note. Cosa ci metto? il Eb? Il Gb? G naturale? Con la scala è tutto più semplice: se uso il D dorico so che, oltre alle 4 note dell'accordo D F A C, suonerò 3 tensioni "disponibili" e "utilizzabili" come la nona maggiore, l'undicesima giusta e la tredicesima maggiore. Se uso il modo frigio saprò invece che, oltre alle 4 "chord notes" impiegherò la nona minore (Eb) e la tredicesima minore (Bb) che verticalmente sono note da evitare ma melodicamente sono meravigliose. E così via.

Se tutto questo viene calato nella Tonalità acquista un senso maggiore.
Il sistema tonale mette in relazione una scala tonale (che possiamo chiamare "generatrice", o "source scale") con 7 accordi diatonici da essa generati, e quindi con 7 scale modali che esprimono ognuna un accordo completo (cioè espanso alla tredicesima). Allora il modo non esprime più solo una scala che si può suonare su un accordo ma esprime anche la funzione armonica di quell'accordo: se suono un modo dorico allora so già che mi trovo sul secondo grado della scala maggiore e mi si creano relazioni precise, tonali, all'interno della scala generatrice (C Major). E così via.

La teoria "chord scales" permette di ragionare sulle tensioni più velocemente e, soprattutto, di relazionare l'accordo con la sua funzione armonica.

Sono andato un po a braccio, spero di non aver scritto cavolate e, soprattutto, di non aver offeso nessuno con cose ovvie
Chiedo solo, ma qui si parla di armonizzazione jazz che è diversa da quella classica vero? Perché sennò io non ci ho capito nulla.
  • Pianov
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28-08-23 19.34

@ alefunk
Chiedo solo, ma qui si parla di armonizzazione jazz che è diversa da quella classica vero? Perché sennò io non ci ho capito nulla.
Quello che ho scritto riguarda l'armonizzazione e l'improvvisazione, e vale per il jazz come per il pop, per il funk, per qualsiasi genere che sia più o meno stato contaminato dalla musica afroamericana. Armonicamente Senza Fine di Gino Paoli non è così diversa da Autumn Leaves, anzi forse è ben più complessa. Quello che cambia è il linguaggio, quindi quello che "suona bene" in un brano, in un certo contesto, suona male in un altro.

Per quanto riguarda la musica classica alzo le mani, ho troppo rispetto per altri membri del forum ben più preparati di me su questo. Io mi fermo all'esame di Armonia Complementare (dove si armonizzavano i bassi), tra l'altro sono passati decenni... e ai primissimi capitoli del Manuale di Armonia di Schoenberg.
  • WTF_Bach
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28-08-23 22.33

@ Pianov
La risposta sta nel fatto che accordo e scala sono la stessa cosa, esprimono lo stesso materiale disposto orizzontalmente (scala) e verticalmente (accordo).
Supponiamo che tu abbia un Dm7, isolato, senza relazioni con altri accordi. Cosa ci posso suonare? Di sicuro D F A C...poi mancano 3 note. Cosa ci metto? il Eb? Il Gb? G naturale? Con la scala è tutto più semplice: se uso il D dorico so che, oltre alle 4 note dell'accordo D F A C, suonerò 3 tensioni "disponibili" e "utilizzabili" come la nona maggiore, l'undicesima giusta e la tredicesima maggiore. Se uso il modo frigio saprò invece che, oltre alle 4 "chord notes" impiegherò la nona minore (Eb) e la tredicesima minore (Bb) che verticalmente sono note da evitare ma melodicamente sono meravigliose. E così via.

Se tutto questo viene calato nella Tonalità acquista un senso maggiore.
Il sistema tonale mette in relazione una scala tonale (che possiamo chiamare "generatrice", o "source scale") con 7 accordi diatonici da essa generati, e quindi con 7 scale modali che esprimono ognuna un accordo completo (cioè espanso alla tredicesima). Allora il modo non esprime più solo una scala che si può suonare su un accordo ma esprime anche la funzione armonica di quell'accordo: se suono un modo dorico allora so già che mi trovo sul secondo grado della scala maggiore e mi si creano relazioni precise, tonali, all'interno della scala generatrice (C Major). E così via.

La teoria "chord scales" permette di ragionare sulle tensioni più velocemente e, soprattutto, di relazionare l'accordo con la sua funzione armonica.

Sono andato un po a braccio, spero di non aver scritto cavolate e, soprattutto, di non aver offeso nessuno con cose ovvie
Personalmente la vedo così: quando si improvvisa si “mira” la nota target, “circondandola” da tensioni.

E queste tensioni “vivono” in funzione della nota target - a nessuno interessa “di che scala fanno parte”.

Se faccio il pick up un semitono sotto alla nota target, mica sto z pensare a che scala appartiene il pick up in funzione dell’accordo che c’è sotto in quel momento.

Dm7: D F A C - se ci metto il pick up C# D F A C - easy, super easy.
  • pentatonic
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28-08-23 22.35

@ paolo_b3
Masterclass "a recia"? emoemoemo

Sarebbe molto utile!
“A recia” sarebbe il modo più corretto, visto che il be bop è nato e si è sviluppato nei bar, grazie a gente sbronza e strafatta che si inventava cose meravigliose, ma sulla base di quadernetto, matita, tanto sperimentare e tanto ascolto.

Ho sentito trombettisti classici giocare a fare il gezzista (…) rifacendo soli di Davis, paro paro: esiti formalmente corretti, le note erano quelle giuste, ma i soli erano piacevoli come un’incudine su un piede, perché mancava completamente la pronuncia, la voce, l’intenzione, la dinamica.
Mancava tutto, c’era solo la scatola. Vuota.

Per improvvisare bisogna, a mio umilissimo parere, ascoltare tanto, ascoltare attentamente, come quando si approccia una lingua straniera. Perché quello è.
  • WTF_Bach
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28-08-23 22.37

@ pentatonic
“A recia” sarebbe il modo più corretto, visto che il be bop è nato e si è sviluppato nei bar, grazie a gente sbronza e strafatta che si inventava cose meravigliose, ma sulla base di quadernetto, matita, tanto sperimentare e tanto ascolto.

Ho sentito trombettisti classici giocare a fare il gezzista (…) rifacendo soli di Davis, paro paro: esiti formalmente corretti, le note erano quelle giuste, ma i soli erano piacevoli come un’incudine su un piede, perché mancava completamente la pronuncia, la voce, l’intenzione, la dinamica.
Mancava tutto, c’era solo la scatola. Vuota.

Per improvvisare bisogna, a mio umilissimo parere, ascoltare tanto, ascoltare attentamente, come quando si approccia una lingua straniera. Perché quello è.
Parole sante. Il jazz è spietato, se lo si suona senza aver nulla da dire diventa la musica più brutta del mondo.
  • giosanta
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28-08-23 23.51

pentatonic ha scritto:
Ho sentito trombettisti classici giocare a fare il gezzista (…) rifacendo soli di Davis, paro paro: esiti formalmente corretti, le note erano quelle giuste, ma i soli erano piacevoli come un’incudine su un piede, perché mancava completamente la pronuncia, la voce, l’intenzione, la dinamica.
Mancava tutto, c’era solo la scatola. Vuota.

STRACONDIVIDO!
Mi permetto solo di aggiungere: mancava, evidentemente, la cultura jazzistica (o rockistica, o barocchistica o ... quello che ti pare, per ciascun contesto). Con la sola tecnica (indispensabile, ci mancherebbe), non si va da nessuna parte.
  • alefunk

29-08-23 00.08

@ Pianov
Quello che ho scritto riguarda l'armonizzazione e l'improvvisazione, e vale per il jazz come per il pop, per il funk, per qualsiasi genere che sia più o meno stato contaminato dalla musica afroamericana. Armonicamente Senza Fine di Gino Paoli non è così diversa da Autumn Leaves, anzi forse è ben più complessa. Quello che cambia è il linguaggio, quindi quello che "suona bene" in un brano, in un certo contesto, suona male in un altro.

Per quanto riguarda la musica classica alzo le mani, ho troppo rispetto per altri membri del forum ben più preparati di me su questo. Io mi fermo all'esame di Armonia Complementare (dove si armonizzavano i bassi), tra l'altro sono passati decenni... e ai primissimi capitoli del Manuale di Armonia di Schoenberg.
Le differenza tra musica nera e musica occidentale, a parte l'improvvisazione fatta in modale, per me sta nell'uso progressione blues e simili, della blue note e di ritmi diversi, lo swing ad esempio e quel ritmo irregolare tipico del funk, che dà movimento.

Non so se concordate, l"argomento è molto interessante, purtroppo però sono arrivato dopo molte pagine di discussione.
  • WTF_Bach
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29-08-23 09.01

Credetemi quando vi dico che Louis Armstrong del rapporto accordo/scala non sospettava neppure l’esistenza.
  • Pianov
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29-08-23 09.15

@ WTF_Bach
Parole sante. Il jazz è spietato, se lo si suona senza aver nulla da dire diventa la musica più brutta del mondo.
Assolutamente. Tanti "jazzisti" si lamentano che la gente non capisce nulla...quando in realtà è il solo motivo per cui riescono a suonare ogni tanto
  • Pianov
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29-08-23 09.38

@ WTF_Bach
Personalmente la vedo così: quando si improvvisa si “mira” la nota target, “circondandola” da tensioni.

E queste tensioni “vivono” in funzione della nota target - a nessuno interessa “di che scala fanno parte”.

Se faccio il pick up un semitono sotto alla nota target, mica sto z pensare a che scala appartiene il pick up in funzione dell’accordo che c’è sotto in quel momento.

Dm7: D F A C - se ci metto il pick up C# D F A C - easy, super easy.
Nell'improvvisazione è certamente vero (alcuni teorici la chiamano "improvvisazione verticale"): appoggiarsi sulle note dell'accordo e giocarci intorno approcciandole con note di passaggio, note di volta, cromatismi ecc. E questo era fondamentalmente l'approccio all'improvvisazione prima degli anni 50 (massimo 60) ed è certamente vero che Louis Armstrong non ragionava certamente sulle scale modali e in termini di armonia funzionale.

Il mio ragionamento è particolarmente utile, secondo me, nell'arrangiamento (che è la cosa che amo di più), perchè nel momento in cui un accordo viene contestualizzato nel (suo) ambito tonale, e quindi assume una determinata funzione rispetto all'accordo che lo precede e lo segue, allora anche le tensioni "disponibili" diventano conseguenti, almeno come "prima scelta".
La conferma è data dal fatto che le tensioni diatoniche (cioè che appartengono alla scala) possono essere usate senza preavviso e non vanno indicate in sigla:

In | Cmaj7 Am7 | Dm7 G7 | diamo tutti per scontato che nel Cmaj7 possiamo suonare, senza preavviso, la nona maggiore e la sesta (13) maggiore, che nel Dm7 possiamo usare anche la quarta (11) giusta ecc. Queste sono scelte diatoniche, cioè "interne" alla tonalità, e sono fondamentali nell'arrangiamento quando è importante sapere quali sono le scelte "IN" che vanno certamente bene e che non aggiungono solo interesse all'accordo ma ne valorizzano ed esprimono la funzione armonica.

Poi, ovvio...le scelte "IN" sono fondamentali per poter scegliere quelle "OUT"...
Nell'improvvisazione infatti il banco salta, perché l'improvvisazione può essere tanto più interessante quando più si commettono "errori" (per dirla alla Marco di Battista, grande teorico e amico), e così via.

Non centra quasi nulla, ma ricordo Fabio Mariani (chitarrista) che diceva: "non c'è niente da fare, quando improvvisi e pensi alle scale le suoni su e giù". E secondo me ha ragione, ecco che quindi dentro una stessa performance ci sono vari momenti, e i modi di ragionare (o non ragionare) possono essere diversi, forse infiniti.

È il bello, e forse il motivo principale per cui tutti amiamo suonare
  • WTF_Bach
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29-08-23 10.01

@ Pianov
Nell'improvvisazione è certamente vero (alcuni teorici la chiamano "improvvisazione verticale"): appoggiarsi sulle note dell'accordo e giocarci intorno approcciandole con note di passaggio, note di volta, cromatismi ecc. E questo era fondamentalmente l'approccio all'improvvisazione prima degli anni 50 (massimo 60) ed è certamente vero che Louis Armstrong non ragionava certamente sulle scale modali e in termini di armonia funzionale.

Il mio ragionamento è particolarmente utile, secondo me, nell'arrangiamento (che è la cosa che amo di più), perchè nel momento in cui un accordo viene contestualizzato nel (suo) ambito tonale, e quindi assume una determinata funzione rispetto all'accordo che lo precede e lo segue, allora anche le tensioni "disponibili" diventano conseguenti, almeno come "prima scelta".
La conferma è data dal fatto che le tensioni diatoniche (cioè che appartengono alla scala) possono essere usate senza preavviso e non vanno indicate in sigla:

In | Cmaj7 Am7 | Dm7 G7 | diamo tutti per scontato che nel Cmaj7 possiamo suonare, senza preavviso, la nona maggiore e la sesta (13) maggiore, che nel Dm7 possiamo usare anche la quarta (11) giusta ecc. Queste sono scelte diatoniche, cioè "interne" alla tonalità, e sono fondamentali nell'arrangiamento quando è importante sapere quali sono le scelte "IN" che vanno certamente bene e che non aggiungono solo interesse all'accordo ma ne valorizzano ed esprimono la funzione armonica.

Poi, ovvio...le scelte "IN" sono fondamentali per poter scegliere quelle "OUT"...
Nell'improvvisazione infatti il banco salta, perché l'improvvisazione può essere tanto più interessante quando più si commettono "errori" (per dirla alla Marco di Battista, grande teorico e amico), e così via.

Non centra quasi nulla, ma ricordo Fabio Mariani (chitarrista) che diceva: "non c'è niente da fare, quando improvvisi e pensi alle scale le suoni su e giù". E secondo me ha ragione, ecco che quindi dentro una stessa performance ci sono vari momenti, e i modi di ragionare (o non ragionare) possono essere diversi, forse infiniti.

È il bello, e forse il motivo principale per cui tutti amiamo suonare
Riflessione di grande valore, sopratutto per ciò che concerne la composizione e l’arrangiamento.

Per ciò che che concerne l’improvvisazione, bisogna però sviluppare un approccio che tenga presente che tutto succede molto velocemente.

Quindi se si vuol sviluppare la frase bebop il focus va messo sulle note target ed il loro approccio, mentre per il modale sui concetti di sequenza, ripetizione e variazione.