29-07-22 21.42
@ d_phatt
Premetto che nel titolo volevo scrivere "teoria" tra virgolette, ma non c'erano abbastanza caratteri a disposizione.
Io non riesco a capire, almeno non del tutto, come mai si dà tanta importanza a questo metodo, lo si incontra in molti testi per non parlare delle risorse online... Anche il Levine, che per tante cose mi sembra un buon libro, dedica fiumi di inchiostro a questa cosa. Ma non sarebbe meglio usare quelle pagine per spiegare i concetti più importanti dell'armonia? Tanto "classica", jazz, pop, rock, cosa cambia? Finché siamo nel sistema tonale i concetti di base quelli sono, quello che può cambiare è lo stile (e le regole) con cui vengono usati...
Una volta che uno sa come funziona la tonalità, la costruzione degli accordi (anche fino alla 13esima), le cadenze, le progressioni di base, il concetto di regione armonica, ritmo armonico, eccetera...le note che può usare su un determinato accordo le individua conoscendo l'accordo e il contesto tonale in cui esso si trova.
Poi certo, saper disporre di quelle note (cordali, di passaggio, cromatismi, dove disporle all'interno di una battuta, ecc) al fine di creare musica è un altro paio di maniche, entrano in gioco tanti aspetti...Ma questo vale sempre, a prescindere, non è che se imparo a memoria 10000 tabelle con i modi e le scale da usare sugli accordi allora il mio fraseggio diventa automaticamente perfetto.
Per esempio nel Jazz Theory Book di Levine (che continuo a citare solo perché è uno dei più famosi sul jazz e tra quelli sul jazz è quello che conosco meglio), confesso che non l'ho mai letto tutto, specialmente per colpa dell'enorme sezione dedicata alla "teoria" scala accordo, ma in nessuna sezione di quelle da me lette si nomina il fondamentale concetto di regione armonica...ma forse me lo sono perso io. Comunque di quel libro ho trovato interessanti sopratutto le parti sui vari tipi di voicing, quella sulla riarmonizzazione con sostituzioni varie piena di esempi interessanti e di utili norme pratiche sulle cose da NON fare...però il libro in sé mi avrebbe molto confuso e portato fuori strada se non avessi avuto una base teorica e di armonia che mi sento di definire solida, o almeno decente, anche se ce ne sarebbero a bizzeffe di cose che dovrei ripassare, imparare o approfondire.
Mi rendo conto che alcune cose possono essere molto utili, per esempio il concetto di "avoid note" in determinate situazioni magari può aiutare un musicista inesperto a evitare una scelta sbagliata, insomma possono avere senso dei consigli pratici utili, però che senso ha privare il musicista della comprensione del funzionamento base della musica tonale che suonerà nel 99 se non nel 100% del suo tempo? Vero che capire le strutture alla base della sistema tonale richiede tempo, ma anche studiare ed esercitarsi su centinaia di scale e modi in tutte le tonalità richiede tempo, anzi probabilmente molto di più.
Cosa mi sfugge?
So di essere un po' assolutista, ma per me (che comunque non sono bravo a improvvisare) l'unica improvvisazione che conta è quella che io chiamo "motivica".
In altre parole se un mio allievo fa 2 improvvisazioni su 2 brani diversi e le improvvisazioni si assomigliano... c'è qualcosa che non va.
Si improvvisa su un tema, su una cellula ritmica su degli intervalli, su degli incisi; e tutto in relazione all'armonia sottostante.
L'improvvisazione è uno sviluppo, un percorso.
Pensare troppo a scale & accordi fa perdere di vista l'insieme.
Tutto è possibile purché legittimato da un aspetto/parametro dell'improvvisazione.
Se sto usando come tratto caratteristico per esempio le appoggiature posso mettere una settima maggiore su un accordo di dominante e poi risolverla anche dopo che l'accordo ha risolto.
Se decido di fare un passaggio in cui destra e sinistra si muovono per quarte giuste, magari la destra seguirà le regole ma la sinistra può darsi che suoni più "avoid notes" che note corrette...