09-12-20 20.05
ECCOLO, copia e rincollalo sopra:
Sto facendo un percorso musicale nuovo, e pur essendo temporalmente lontano dagli anni del conservatorio e quindi meno fresco su concetti che, se all'atto pratico applico in maniera inconscia, mi viene un pochino più difficile descrivere a parole.
Per tantissimo tempo la mia musica si è mossa nel territorio del rock, del blues, della soul music e di sottogenere jazz molto affine a questi ultimi due generi (il soul jazz di Jimmy Smith), e per tantissimi anni ho automatizzato riff, cliché, scale, progressioni armoniche condivise da questi generi.
Adesso sto suonando poco e, per così dire, componendo tanto, confrontandomi con generi nuovi, a cui si possono dare mille etichette, ma che sono storicamente convinto che ricadano sotto un'unica macroetichetta: pop.
Pop, seppur a primo impatto possa fare pensare a qualcosa di semplice e consumistico, in realtà significa troppe cose differenti.
E così diventa anche più difficile prendere dei riferimenti armonici.
Nel mio piccolo credo che questa varietà di stili o sottogeneri (pop è Niccolò Fabi come Alexia, ma anche i Per Shop Boys o The Weeknd, sulla qualità della musica non voglio arrivare a parare) finisca per includere anche una larga parte della produzione elettronica, ad eccezione delle forme più sperimentali o delle forme di EDM più estreme: l'ambito in cui mi sto muovendo insomma.
Tutto questo sproloquio per dire che penso di fare pop music?
No, prima trovo un contenitore e poi arrivo al dunque.
Se prima ero più legato all'interpretazione e all'improvvisazione in un ambito musicale con regole definite e un linguaggio proprio ben connotato, adesso mi confronto con un ambito in cui apparentemente viene dato maggior risalto al suono, al ritmo e alla produzione in senso tecnico, tutti elementi che finisco per far perdere di vista la base: la musica.
Muovermi in questo ambito mi ha dato una sensazione di libertà nuova, a cui non ero abituato in senso musicale.
Sento di poter utilizzare elementi presi sia dalla sfera del tonale e del modale.
Posso scrivere un pezzo in modo maggiore o minore, con progressioni armoniche tradizionali, cadenze, modulazioni... Oppure sfruttare i modi, con i loro sapori che ancora oggi mi suonano antichi e moderni assieme al mio orecchio nato in ambito classico, posso anche usare le pentatoniche, qualche turnaround... Insomma mi sento più libero, anche se alla fine, gira che ti rigira, mi ritrovo sempre a ruotare attorno a modi scuri, dorico o eolio...
Vorrei che mi aiutaste ad analizzare uno dei pochi pezzi che ho scritto, apparentemente in tonalità maggiore.
È un esercizio fine a se stesso.
Il pezzo è questo, scritto "in Do" perché doveva essere un pezzo cantato.
La struttura è semplice: un tema ripetuto 2 volte con variazioni ritmiche, un intermezzo, un ponte, e una ripresa del tema.
Tema A: I, IV, I, VI,V, IV.
Intermezzo B: VI, V, IV VI, V, IV.
Intermezzo C: II, VI, IV, V
Ponte D: pedale di V
Io l'ho inteso come un pezzo basato su un impianto tonale.
Il tema di fatto è un susseguirsi di cadenze plagali IV - I, con un'armonia (la V fra IV e IV) che leggo più come "di passaggio".
Il primo intermezzo mi da da pensare: modulo a una tonalità minore, cambio schema passando al modo, è una cadenza plagale in cui la VI sostituisce la I?
Il secondo intermezzo: è un II-V-I che non chiude, una cadenza sospesa, oppure sto affermando di essere passato al modo costruito sul VI grado chiudendo sul suo VII grado (che è un accordo sostituito di dominante)?
Però i dubbi si fugano sul ponte: il lungo pedale afferma la dominante, cadendo sulla nuova enunciazione del tema in una cadenza perfetta.
Non penso mai alla modulazione in senso tonale perché non c'è mai una dominante della tonalità relativa minore
È un gioco: vediamo cosa ne esce.