Bassoforte ha scritto:
La domanda potrebbe sembrare un poco astratta e bizzarra
tutt'altro: non è una considerazione banale, la tua, anzi la trovo molto interessante.
Come primo approccio, molto empirico e basato su esperienze pregresse (quindi sottolineo che non è una regola costante nè affidabilissima), mi avvicino con scetticismo a tastiere che sfoggiano decine di preset dello stesso strumento; a volte si tratta di fumo negli occhi per nascondere sempre gli stessi pochi campioni riproposti con equalizzazioni o riverberi diversi.
Io ho posseduto solo una workstation, in passato, ed era Kronos. I campioni (parlo di pianoforti) erano piuttosto variegati e belli; in questo caso, per scegliere quale preferisco, ascolto il suono in dry, eq flat e scelgo uno o due tipi di campioni; da quelli parto poi per gli aggiustamenti secondari: vale a dire adeguamento della risposta dinamica e un tocco all'equalizzazione. Fermo restando che se la base è buona (intendo buoni campioni), si lavora bene e si ottiene un risultato; al contrario, se la base di partenza è quella che è, puoi tentare tutte le vie possibili, ma non otterrai mai un buon suono, anzi probabilmente gli interventi saranno peggiorativi.
Ci sono passato, quando cercavo di ottenere buone emulazioni hammond nei periodi in cui i cloni non esistevano ancora... passi ore su un campione e poi ti ritrovi con una pernacchia supereffettata che sa di hammond come un wurstel bruciacchiato con ketchup sa di filetto al pepe
Per quanto riguarda i vst a campioni, credo che la scelta sia più semplice... diverso invece il discorso VA, hanno migliaia di preset e a volte mette male capire come suona un virtual synth scorrendoli. Io mi regolo, anche qui, con il suono raw, ossia faccio un bel "sound init" e da lì valuto la qualità delle forme d'onda e del filtro in primis.