@ d_phatt
Premetto che nel titolo volevo scrivere "teoria" tra virgolette, ma non c'erano abbastanza caratteri a disposizione.
Io non riesco a capire, almeno non del tutto, come mai si dà tanta importanza a questo metodo, lo si incontra in molti testi per non parlare delle risorse online... Anche il Levine, che per tante cose mi sembra un buon libro, dedica fiumi di inchiostro a questa cosa. Ma non sarebbe meglio usare quelle pagine per spiegare i concetti più importanti dell'armonia? Tanto "classica", jazz, pop, rock, cosa cambia? Finché siamo nel sistema tonale i concetti di base quelli sono, quello che può cambiare è lo stile (e le regole) con cui vengono usati...
Una volta che uno sa come funziona la tonalità, la costruzione degli accordi (anche fino alla 13esima), le cadenze, le progressioni di base, il concetto di regione armonica, ritmo armonico, eccetera...le note che può usare su un determinato accordo le individua conoscendo l'accordo e il contesto tonale in cui esso si trova.
Poi certo, saper disporre di quelle note (cordali, di passaggio, cromatismi, dove disporle all'interno di una battuta, ecc) al fine di creare musica è un altro paio di maniche, entrano in gioco tanti aspetti...Ma questo vale sempre, a prescindere, non è che se imparo a memoria 10000 tabelle con i modi e le scale da usare sugli accordi allora il mio fraseggio diventa automaticamente perfetto.
Per esempio nel Jazz Theory Book di Levine (che continuo a citare solo perché è uno dei più famosi sul jazz e tra quelli sul jazz è quello che conosco meglio), confesso che non l'ho mai letto tutto, specialmente per colpa dell'enorme sezione dedicata alla "teoria" scala accordo, ma in nessuna sezione di quelle da me lette si nomina il fondamentale concetto di regione armonica...ma forse me lo sono perso io. Comunque di quel libro ho trovato interessanti sopratutto le parti sui vari tipi di voicing, quella sulla riarmonizzazione con sostituzioni varie piena di esempi interessanti e di utili norme pratiche sulle cose da NON fare...però il libro in sé mi avrebbe molto confuso e portato fuori strada se non avessi avuto una base teorica e di armonia che mi sento di definire solida, o almeno decente, anche se ce ne sarebbero a bizzeffe di cose che dovrei ripassare, imparare o approfondire.
Mi rendo conto che alcune cose possono essere molto utili, per esempio il concetto di "avoid note" in determinate situazioni magari può aiutare un musicista inesperto a evitare una scelta sbagliata, insomma possono avere senso dei consigli pratici utili, però che senso ha privare il musicista della comprensione del funzionamento base della musica tonale che suonerà nel 99 se non nel 100% del suo tempo? Vero che capire le strutture alla base della sistema tonale richiede tempo, ma anche studiare ed esercitarsi su centinaia di scale e modi in tutte le tonalità richiede tempo, anzi probabilmente molto di più.
Cosa mi sfugge?
La risposta sta nel fatto che accordo e scala sono la stessa cosa, esprimono lo stesso materiale disposto orizzontalmente (scala) e verticalmente (accordo).
Supponiamo che tu abbia un Dm7, isolato, senza relazioni con altri accordi. Cosa ci posso suonare? Di sicuro D F A C...poi mancano 3 note. Cosa ci metto? il Eb? Il Gb? G naturale? Con la scala è tutto più semplice: se uso il D dorico so che, oltre alle 4 note dell'accordo D F A C, suonerò 3 tensioni "disponibili" e "utilizzabili" come la nona maggiore, l'undicesima giusta e la tredicesima maggiore. Se uso il modo frigio saprò invece che, oltre alle 4 "chord notes" impiegherò la nona minore (Eb) e la tredicesima minore (Bb) che verticalmente sono note da evitare ma melodicamente sono meravigliose. E così via.
Se tutto questo viene calato nella Tonalità acquista un senso maggiore.
Il sistema tonale mette in relazione una scala tonale (che possiamo chiamare "generatrice", o "source scale") con 7 accordi diatonici da essa generati, e quindi con 7 scale modali che esprimono ognuna un accordo completo (cioè espanso alla tredicesima). Allora il modo non esprime più solo una scala che si può suonare su un accordo ma esprime anche la funzione armonica di quell'accordo: se suono un modo dorico allora so già che mi trovo sul secondo grado della scala maggiore e mi si creano relazioni precise, tonali, all'interno della scala generatrice (C Major). E così via.
La teoria "chord scales" permette di ragionare sulle tensioni più velocemente e, soprattutto, di relazionare l'accordo con la sua funzione armonica.
Sono andato un po a braccio, spero di non aver scritto cavolate e, soprattutto, di non aver offeso nessuno con cose ovvie