@ zaphod
Ho provato a comprendere il tuo punto di vista, l’ho girato e rigirato ma non riesco a trovare un modo per giustificarlo. Limite mio, probabilmente.
Ma dato che la definizione di lavoro è “l’applicazione delle facoltà fisiche e intellettuali dell’uomo rivolta direttamente e coscientemente alla produzione di un bene, di una ricchezza, o comunque a ottenere un prodotto di utilità individuale o generale” (da Treccani), allora potremmo distinguere solamente tra lavoro retribuito e non retribuito. La produzione di un’opera d’arte è un lavoro, che poi sia fine a se stesso o fatto in modo che ne beneficino tutti, è un altro discorso. E se devo scegliere, voglio che il mio lavoro venga retribuito. Se suono per qualcuno, inteso come prestare la mia arte ad una persona che guadagna quando qualcuno mi ascolta, allora devo essere pagato. Dai. Altrimenti hanno ragione i titolari dei pub che pagano 100 euro di rimborso spese ad una band.
Hai tutte le ragioni di appellarti alla Treccani, ma da par mio ho smesso da molto tempo di rendermi nozionistica l'esistenza. Preferisco avere come metro di misura ciò che percepisco direttamente dalla realtà quotidiana.
Non ho scritto che un musicista non debba essere pagato, tutt'altro. Non è la questione economica il centro dell'argomento. Ho suonato con ragazzi diplomati in conservatorio negli anni 80 (quando era il vero conservatorio, non quello di adesso dove prendono cani e porci pur di fare cassa) che umilmente si sono messi a disposizione per amore verso la musica intesa come creazione, arrangiando i brani di un volgare strimpellatore del mio stampo. Oggi leggo invece che tutto deve essere assoggettato alla legge del lavoro, compresa l'arte. La mia esperienza mi porta a constatare che maggiore è il sentimento del musicista, maggiore è la sua umiltà.
Nell'accezione latina del termine, "lavoro" (tripalium) è qualcosa di sgradevole, infatti se tutti potessero smettere di lavorare lo farebbero all'istante. Nell'arte non funziona così. L'artista non dorme la notte per creare, è ossessionato dai dettagli, sa leggere tra le righe la realtà che lo circonda, è profetico, lungimirante, considera l'arte un tutto totalizzante per cui darebbe anche la vita stessa... Ciò vale per Jarrett, Bach, Picasso e per chiunque abbia avuto il coraggio di "svegliare" la propria coscienza. Poi c'è chi arriva in alto e chi in basso, ma non è importante dove si arriva, non è questo il punto. L'arte è ricerca continua del sublime, non è un CV fatto di un qualche studio e seminario con grandi nomi che garantisce lo stipendietto.
Mi fermo qui ma avrei da scrivere ancora molto sul tema, ché poi vi ci addormentate sul tablet