Sono la figlia minore di Renato Villa (1916-2007), veterano della II Guerra Mondiale, antifascista, partigiano nella Resistenza cattolica e Giusto. Quando sono nata, le mie sorelle avevano venti e sedici anni più di me e arrivai, inaspettata, il 4 marzo 1965 (nevicava ed era pure giovedì grasso). Mio padre, che si fece pure due anni di campo di prigionia, si portò nella tomba il suo segreto, ovvero aver falsificato documenti per dare una nuova identità a ebrei e ricercati dalla Gestapo. I parenti di mia madre non stettero con le mani in mano: il fratello maggiore della mamma, sacerdote novello, era assai affaccendato, con la sua bicicletta, a portare "conforto spirituale" sotto gli occhi dei nazifascisti, che, per rispetto della tonaca, gli facevano pure il saluto militare!
Papà, antifascista vero, non sopportava la degenerazione di un certo antifascismo, quello che si trasformava nel suo contrario, come ha ben fatto notare Stefano. Squadrismo rosso-bruno, per usare un'espressione molto in voga ora.
Mai avrei immaginato di vedere così tanti ammiratori delle "democrature" e delle dittature tout court, degli "uomini forti" , del terrorismo. Le "femministe" di "Non una di meno", che rasentano il ridicolo, vedendo il patriarcato dappertutto, ma dimenticandosi di condannarlo dove realmente prospera; attente all'uso dell'asterisco e della schwa (la e capovolta), ma dimentiche della sorte delle donne afgane, yazide, kurde, cristiane, ebree. Ipocrisia, tantissima ipocrisia. Una nausea che non vi dico, per non parlare dei cortei pro-Hamas. Vorrei tanto vederle queste riot girls da divano, che tanto odiano e contestano i valori della civiltà occidentale, cosa farebbero in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Nigeria sotto il controllo di Boko Haram, Libia, Algeria e così via, non dimenticando il Sud Sudan, fra guerra e carestia (ONU, se ci sei batti un colpo), e tante altre realtà.
Ho perso otto amici ucraini, sotto le bombe o gettati in una fossa comune; sette amici russi sono in galera, di cui tre condannati a quindici anni in una colonia penale siberiana solo per aver scritto nel loro blog "No alla guerra di Putin" o "Fermate Putin". Un mio contatto professionale israeliano ha perso un parente nel pogrom del 7 ottobre e un altro una nipote. Un dolore che brucia l'anima e non trovo parole, solo preghiere.
Scusate lo sfogo.
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