1) se esiste un nesso causale tra uscita di casa ed infezione, allora ogni volta che qualcuno esce di casa, dovrebbe infettare qualcun altro. Dato che é evidente che non è così, possiamo pacificamente constatare che
non esiste alcun nesso causale tra l’uscire di casa e il propagare l’epidemia.
2) Se così non fosse, dovremmo ammettere per assurdo anche l'esistenza di un nesso causale tra l’essere vivi e il propagare l’epidemia,
e quindi logicamente proibire alla gente di essere vivi: se io non fossi vivo, non potrei uscire di casa, etcetera...
2) L’unico nesso causale che esiste è quello tra
l’avvicinarsi ad altre persone quando si è infetti ed il contagio.
3) Solo questo nesso causale può essere preso in considerazione operando il
bilanciamento tra diritti che, lo ripeto, hanno la stessa importanza.
Tutta la dottrina e la giurisprudenza della corte costituzionale sono univoche nello stabilire che il diritto alla salute non è superiore agli altri diritti ma è a loro pariordinato.
4) Quindi impedendo alle persone di uscir di casa non si colpisce una condotta caratterizzata da offensività diretta di un bene giuridicamente tutelato (la salute), ma solo una condotta legata alla detta lesione dal realizzarsi di una catena di eventi possibili ma non certo sicuri e necessari, anzi del tutto aleatori ed imponderabili.
Non foss’altro, il criterio di proporzionalità e ragionevolezza che regge il rapporto tra norme che comprimono i diritti costituzionali e la situazione emergenziale, sarebbe indubitabilmente violato.
5) Legittimo sarebbe vietare condotte caratterizzate da potenziale, ma reale, contenuto offensivo, come appunto assembrarsi, avvicinarsi agli altri, non rispettare le norme di sicurezza.
6) Inoltre mentre le limitazioni alla libertà di circolazione, di culto, di riunione, di libera impresa e allo studio sono in teoria possibili secondo la costituzione in quanto la costituzione stessa lo prevede, purché siano proporzionali e ragionevoli, la limitazione della libertà personale senza atto motivato dell’autorità giudiziaria non è mai permesso. In nessun caso, neanche in stato di guerra.
7) il divieto di uscire di casa se non per fare la spesa e per recarsi al lavoro coincide con uno stato di limitazione della libertà personale ex art 13?
Diceva appunto il Mortati che ogniqualvolta si usasse surrettiziamente la via dell’eccezione (lecita) all’art 16 limitando il diritto di circolazione in maniera che, fatto un passo fuori dall’uscio di casa, il cittadino non potesse andare da nessuna parte se non ricevendone l’autorizzazione dall’amministrazione, ad essere violato sarebbe proprio l’art 13.
L’autorità amministrativa non può in nessun caso obbligare alcuno, giusto l’art 13 della costituzione, a non lasciare il proprio domicilio, oppure sottomettere il permesso di lasciare il proprio domicilio all’esistenza di specifiche esimenti.
Non potrebbe neanche far salva in maniera del tutto ipocrita la libertà di uscire liberamente di casa, e poi limitare in maniera pressoché assoluta la libertà di circolazione, perché così facendo non starebbe in realtà limitando la circolazione ma la libertà personale stessa.
Non può farlo perché la libertà personale la può limitare solo un giudice.
E, badiamo bene, l’art 13 non parla solo di fermo, arresto e detenzione, ma recita:
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale
Quindi, il DPCM prima e il DL ora sono incostituzionali ed i loro effetti (denunce e sanzioni amministrative) cadranno inevitabilmente una volta che i ricorsi solleveranno la questione di incostituzionalità.
Conseguenze: risarcimenti, danno erariale, tribunali ingolfati.
Per non aver voluto o saputo scrivere una norma costituzionalmente orientata, che si limitasse a reprimere le condotte veramente lesive, ovvero gli assembramenti.